La resa della Guerriera.

 

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Per noi donne, è difficile ricordare quando la Guerriera abbia preso possesso di una parte della nostra personalità, probabilmente lei arrivò cavalcando il suo cavallo bianco quando ‘ricevere’ da altri, fu troppo doloroso: o per un gesto inefficace, delle parole non offerte, delle mancanze evidenti abbastanza da rimbalzare nel vuoto lasciato, oppure perché quel ‘ricevere’ era così soffocante e condizionata da togliere il fiato.

Cosi passarono gli anni.

La Guerriera con il cavallo bianco: sempre più vigorosa, più esigente e dinamica, con la sua armatura scintillante, che abbaglia chi posa lo sguardo su di lei, è diventata un simbolo di ‘libertà’, quell’indipendenza pagata con lo sforzo, quella fatica che svuota, accompagnata da un senso di solitudine, sempre in prima linea, affrontando la vita come un agnello sacrificale, perché alla fine, crede che nel bisogno, quando si toglierà l’armatura – per lei non ci sarà nessuno. Non che succede spesso, ma in quelle rare occasioni, nuda e vulnerabile, il suo corpo è invaso da un tremolio infrenabile, mentre lei, cerca di nascondere e negare la sua stessa paura. Non può permettersi il lusso della resa, se consente la caduta dell’autodifesa, il ‘ricevere’ avrà un prezzo, rivelandosi, per l’ ennesima volta, una delusione dolorosa.

Quel pensiero lacerante, che taglia come la spada che lei stessa afferra ogni giorno, non è un argomento negoziabile, serve per nascondere agli altri quanto soffre, perché ormai è diventata parte di lei, un’arma forgiata dalle sue stesse lacrime, e lasciarsi andare, significa penetrare oltre la protezione – un rischiare troppo alto, l’equivalente a morire dentro.

Quanti conoscono questa realtà?

Dalle donne che lo vivono, agli uomini ‘pazienti’ che scelgono di stare accanto alla Guerriera, a volte considerati poco più di un mero stalliere che custodisce il suo cavallo bianco. Queste donne affascinanti, sempre pronte per sostenere e ‘salvare’ gli altri, che mettono una certa soggezione quando affermando, con fierezza, di non avere bisogno di nessuno, una proclamazione di autoconvinzione, che non regge negli occhi di chi le sta al fianco, e che troppo spesso, va a discapito della sua stessa femminilità.

Poi un giorno accade il miracolo.

La bambina interiore ferita, ‘riceve’ il dono della guarigione, la Vera Salvezza che solo l’Anima è in grado di compiere. E lei, guardando nello specchio, vede oltre l’immagine della Guerriera. Con il cadere della maschera, l’Anima mostra la Verità, rendendola libera e testimone di un’illusione collettiva che tuttora tiene le donne prigioniere, e carceriere di se stesse, separate da quell’intimità di amore sacro che desiderano così arduamente ma, che risulta troppo spesso sfuggente.

Ammettere finalmente la verità è un sollievo, un ’ tocca sana’, perché essere una donna, nella sua completezza, significa riconoscere e rispettare il valore e preziosità del proprio ruolo, scoprendo di possedere già, come seme, le stesse medesime caratteristiche e qualità essenziali del sesso opposto e che non serve rubare, imitare, valicare o invadere i confini dell’uomo per liberarli, basta nutrirli. Ora il ‘ricevere’ può accadere nel momento in cui lei è disposta a rischiare coraggiosamente di aprirsi, mostrando la propria debolezza nel essere imperfetta, vulnerabile: e nella sua fragilità, dipendente sugli altri per ricevere amore.

Senza cadere nell’ autocommiserazione, la ‘ricettività femminile’ improvvisamente sboccia in modo autentico, come un fiore delicato ma resistente, libero del peso e costrizione del vittimismo, un dolore che ha segnato, in modo indelebile, i volti di milioni di donne nei secoli, ma che oggi, con il risveglio dell’Anima, è una ferita che si rimargina in lei guarendo un’antica sofferenza che viaggia lungo la linea del tempo.

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Questo è il destino della donna moderna, che finalmente può “ricevere” dal suo Amato senza “pretendere”, in uno spazio privo di rabbia e sensi di colpa. Rispecchiando nell’uomo, riconosce le stesse medesime qualità fiorenti in lei, che da lui, inconsciamente, respinge – perché in conflitto con se stessa, in lotta per il diritto di “ricevere” incondizionatamente, senza l’obbligo di “saldare” i conti. Ora lo sa che non serve più lottare o auto-difendersi a spada tratta per un diritto che già le appartiene, che nessuno lo può più negare, se non lei stessa.

Questo miracolo d’amore sacro, permetterà poi al suo Amato lo spazio per l’interrogazione, l’introspezione profonda che insegna all’uomo come “dare” senza aspettare un compenso come diritto di “supremazia maschile”, esaltando in lui la generosità incondizionata, quell’offrirsi accompagnato dall’umiltà e sensibilità femminile, senza dover abbassarsi alla passività, alla castrazione o alla sottomissione.

E cosi la Guerriera che cavalcava il cavallo bianco, si trasforma in Regina, forte, intraprendente ma morbida, e soprattutto colmo nel ricevere il suo stesso amore, che traboccando, non può fare a meno, che donarla incondizionatamente con tutto il suo Cuore.

 

Caroline Mary Moore

 

 

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