Il Cambiamento Globale: L’Attesa Interminabile ti Sta Mettendo alla Prova?

Mi sento di pubblicare nuovamente quest’articolo scritto nel 2018.
II cambiamento è arrivato. Per molti non è come ci si aspettava, ma la vita non ci propone mai quello che vogliamo ma quello che serve per la nostra evoluzione ed espansione.

Caroline Mary Moore

Tempo e Cambiamento, due argomenti umani inevitabili. Paradossalmente, il cambiamento è l’unica costante nell’universo, l’unica cosa su cui possiamo contare come una certezza, che per la mente, ironicamente, diventa sinonimo della paura. Come umanità desiderose di incarnare il nuovo mondo nella propria realtà, siamo in conflitto tra una spinta evolutiva dell’anima senza tempo, e la mente, catturata nell’illusione del tempo che aborra e rifiuta i cambiamenti—e noi nelle sue sottigliezze, siamo ancora incapaci di discernerne la differenza!

Un tentativo di incarnare i cambiamenti, fu evidente quando, negli ultimi anni, una teoria spirituale chiamata legge dell’attrazione divenne molto popolare con il pubblico mondiale.

Questo concetto si basa sul pensiero positivo e incoraggia coloro che lo applicano, di avere fiducia nella propria capacità di attrarre cambiamenti positivi che includono: buona salute, cambio di lavoro, abbondanza di denaro, relazioni più soddisfacenti, l’acquisto della casa dei sogni, perfino trovare un posteggio auto durante l’orario di punta in città!

Non intendo aggiungere altro sull’argomento, perché l’intento di quest’articolo non è di parlare della legge in sé, ma di riflettere sul motivo della sua popolarità; che senz’altro, evidenzia la voglia delle masse per un cambiamento globale.

Tuttavia, radicare il cambiamento nella materia richiede una maggiore consapevolezza da parte nostra, perché se siamo onesti, la causa mascherata dietro la moda positivista è l’insofferenza—che è una risposta reattiva a una riluttanza di accettare ciò che è.

Siamo umani, perciò è naturale desiderare un cambiamento nel momento in cui tutto va a rottoli, ma il desiderio in sé non è un catalizzatore per l’innovazione. Il problema non è volere un futuro migliore, è la nostra incapacità di abbandonarsi all’inevitabilità. Ancora in resistenza, l’impazienza e la frustrazione regnano mentre giriamo come delle trottole, arrabbiati e delusi.

Credo che la metafora migliore per illustrare il processo sia la gestazione e nascita di un neonato. Nel grembo della madre, durante i primi sei mese di gravidanza, il feto è libero di muoversi a volontà.

Durante questo periodo, il bambino assorbe nutrimento, cresce e sviluppa tutti i sensi rapidamente—un po’ come noi, quando al risveglio, cerchiamo gli insegnamenti di chi ha già camminato sul sentiero: maestri, insegnati spirituali, operatori di luce e guru, tutti quelli in grado di alimentare la nostra sete di sapere tramite la loro sapienza, come una madre che nutre il feto attraverso il cordone ombelicale.

Come il bimbo in grembo, durante la crescita spirituale, ci muoviamo liberamente passando da un corso a un altro, magari per anni, e poi, arriva il momento di fermarsi. Non è una scelta, piuttosto è un istinto che segna il termine della fase falena che rimane attratta e catturata dalla luce altrove, perché è ora di brillare della luce propria.

Equivalente al sesto mese di gestione, quando il bambino si colloca con la testa in giù, anche per noi, ci rimane un’unica azione da compiere—radicarsi verso la terra e rimanere fermi.

Durante questa fase però, il feto non lotta, non va in resistenza, fa quello che deve fare. Tutto si rallenta: la sua crescita, i suoi movimenti e quelli della madre (per via della sua forma e peso ingombrante) ed è proprio qui che noi entriamo in conflitto, frenando e ostacolando un processo naturale che necessità di questo passaggio di vuoto e sospensione.

Quando le nostre realtà assomigliano agli ingranaggi di una grande ruota che si ferma, offuscati e accecati dal vittimismo, interpretiamo l’arresto di movimento negativamente come una restrizione che fa male, come se la vita fosse contro di noi, e tutte le porte dell’opportunità sono sbarrate.

Questo momento non è un invito a fermarsi, è un passaggio previsto dalla legge divina che vuole che ci collochiamo nella posizione preparto, come il bambino che si prepara per l’inizio del suo viaggio verso la terra, lungo il canale della nascita.

Dopo il sesto mese di gravidanza, le contrazioni di Hicks diventano più frequenti e percepibili mentre l’utero, e il bambino, si preparano per le doglie vere (le contrazioni dell’utero che simultaneamente espanderanno la cervice in un processo doloroso che incoraggia la spinta finale verso l’ingresso nel mondo materiale).

Il dolore del parto è funzionale. Sia madre sia figlio sperimentano le fasi del parto nel presente, l’unica realtà in grado di accogliere la vita; nessuno dei due può evitare il dolore (se non interviene la medicina). Tramite le contrazioni dolorose e il respiro, la madre rimane radicata nel corpo, mentre il bambino affronta la paura e il trauma dal distacco dalla madre per diventare un essere autonomo.

Il nostro processo spirituale non è di meno, bisogna passare da uno stato di dipendenza e diventare Sovrani di noi stessi, in altre parole, emotivamente autonomi.

Ultimamente, molti sono delusi e arrabbiati per aver “atteso” un cambiamento che sembra non arrivare mai, anzi, tutta decade, ora è il caos a regnare. L’ombra è uscita dai scantinati. E’ guerra aperta—tuttavia, l’ordine nasce dal caos!

Quelli che entrano in reazione, lottando contro i loro stessi dolori, cavalcano il moto perpetuo del pendolo dualistico della mente, amplificando le sofferenze. Quest’attesa, apparentemente interminabile, ci sta mettendo alla prova. Si rischia di oscillare tra l’ossessione e la passività, stati di sofferenze (attaccamento) in cui non conquistiamo né potere né consapevolezza.

L’attesa, tra altro, appartiene al tempo ed incita: impazienza, impotenza, inquietudine, e depressione. Invece, la qualità essenziale che cerchiamo è l’arresa ricettiva, un gesto non attivo procinto a una risposta d’azione, come il feto pronto per essere incarnato nella materia.

Siamo chiamati a diventare coscienti del retro del terzo chakra, il nostro centro solare solitamente celebrato per i suoi attributi maschili carismatici e magnetici come: coraggio, solarità, forza, potere personale, vitalità, azione, realizzazione, sicurezza di sé, individualità, leadership, indipendenza, intraprendenza, perseveranza, tenacità, determinazione e integrità.

Il retro del terzo chakra (che si trova alla stessa altezza del plesso sulla spina dorsale) quando sviluppato, rigenera e ricarica il sistema nervosa.

Il retro del chakra è femminile ed esprime le qualità essenziali dell’arresa, insieme alla capacità di cedere per scelta e non per obbligo: il senso del tempo, ossia, sapere quando agire e quando aspettare, collaborazione di gruppo, seguire la leadership degli altri senza sentirsi sottomessi o indeboliti, avere la flessibilità di riadattare o modificare gli obiettivi, insieme alla capacità di ricevere e contare sui propri punti di forza e resistenza.

Regno del pendolo oscillante del giudizio mentale, solo se bilanciamo il retro con il davanti del terzo chakra, s’incontra il perno immobile, il ponte per il cuore e lo spazio nel suo interno; dove regna il vuoto senza tempo e il non giudizio.

Solo allora possiamo comprendere veramente il detto non tutti i mali vengono per nuocere. Come nel travaglio, il dolore non è sempre nocivo è anche vitale.

Il dolore è una naturale, funzionale espressione della vita, la sofferenza invece, non è né naturale né funzionale, è l’attaccamento mentale al dolore.

Senza questa consapevolezza, rimaniamo impauriti davanti al pensiero di arrendersi, di entrare in uno stato di vulnerabilità insieme ai propri dolori; ma ogni uno si deve affidare al processo già compiuto di quando eravamo neonati.

L’arresa recettiva è nelle nostre vere nature, nessuno ci ha insegnato come aspettare e accogliere le prime doglie (dolori) come un segnale per iniziare il tragitto verso una nuova vita.

Inesperti ancora nel resistere al richiamo magnetico del pendolo dualistico, l’arresa è ancora considerata un gesto per deboli, una sottomissione, una rinuncia forzata, perché la vita dualistica ci ha insegnato la necessità di lottare per il diritto ai cambiamenti positivi.

Tuttavia, arrendersi consapevolmente non significa rinunciare ai nostri diritti al cambiamento. Al contrario, il cambiamento diventa ciò in cui ci arrendiamo.

Caroline Mary Moore

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